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METAMORFOSI USTICESI

Ustica, 2018

RESIDENZA USTICA LUGLIO 2018 | Arcipelago Siciliano | LA METAMORFOSI NEL VIAGGIO un’allegoria tra arte e vita | Asinus Aureus di Apuleio

USTICA, IL MEDITERRANEO E LE METAMORFOSI


Quale rapporto esiste tra Ustica e le metamorfosi? La risposta può svolgersi lungo piani diversi. C’è un primo livello immediato, che colpisce il viaggiatore che arrivato dal mare si imbatte in questo minuscolo puntino di terra emersa nel centro del Mediterraneo. Appena ci si avvicina all’Isola si percepisce facilmente l’azione corrosiva del mare, che ha modellato la falesia a strapiombo di Capo Falconiera, ha messo a nudo le suggestive fessurazioni colonnari di nero balsato della costa settentrionale e ne ha fatto crollare ampi tratti, com’è reso evidente dallo Scoglio della Colombara che in epoca storica era ancora unito alla terraferma e ospitava parte del villaggio preistorico rinvenuto nella costa di fronte; ha inciso profondamente le lave sottomarine dello Spalmatore, dando origine, nella parte occidentale, ad una costa pianeggiante, ma molto frastagliata, particolarmente ricca di anfratti e insenature. E poi le grotte, prevalentemente di origine carsica, emerse, sottomarine e a livello del mare che punteggiano le coste sud-orientali dell’Isola. Sulle componenti calcaree, inglobate durante il rapido raffreddamento della lava a contatto con il mare, acque meteoriche e di dilavamento hanno esercitato un’azione corrosiva, aprendo i primi varchi e creando così dei punti deboli nella massa rocciosa. L’acqua del mare e della pioggia che incontrano la lava creatrice dell’Isola e ne cambiano le forme, ne rimodellano i contorni, ridefinendone la fisionomia.

La lava e il mare sono i protagonisti di un’incessante processo di metamorfosi, partito nella notte dei tempi. Quando, circa un milione di anni fa, nel fondo del Tirreno meridionale si aprì una frattura costale che pescava direttamente nel mantello, la zona all’interno della terra da cui risalgono i magmi: in questo modo un pennacchio di magma risalì fino alla superficie e iniziò a edificare quello che sarebbe diventato il monte vulcanico usticese. Ustica è la parte emergente di un grande monte vulcanico che si solleva, per oltre 2200 metri, dal fondo del mare. Così è nato quello che oggi si chiama Monte Guardia dei Turchi. Da questo cono vulcanico emerso vennero fuori sia tranquille eruzioni effusive con colate di lava che scendevano lungo i pendii, sia più energetiche eruzioni. Altre bocche laterali hanno alimentato colate che si sono disperse in varie parti dell’Isola. Quando è cessata, circa 500 mila anni fa, l’attività di Monte Guardia dei Turchi, è cominciata quella di Monte Costa del Fallo, nella parte occidentale dell’isola. Si trattava di un vulcano esplosivo, che oggi non è più riconoscibile perché in gran parte crollato e smantellato dall’azione del mare. La storia di Ustica ha conosciuto una tremenda eruzione, un po’ meno violenta di quella del Vesuvio del 79 d.c., dal cratere di Tramontana, che qualche tempo dopo collassò lasciando posto ad una tipica caldera, e poi delle eruzioni minori.

C’è poi il cambiamento derivante dall’uomo che ha cercato di domare la natura dell’Isola fin dall’età del rame e dall’età del bronzo. Di essa sono testimonianza i resti del villaggio preistorico dei Faraglioni, difeso dal mare grazie alla costa a strapiombo, sul lato occidentale, e delimitato da un muraglione a semicerchio verso l’entroterra. A cui dovette seguire l’insediamento sul rilievo della Falconiera, luogo altrettanto difendibile e posto a dominio della Cala Santa Maria. A cui si aggiungono i ricordi di altri uomini e di altre civiltà venute dal mare. Fenici, Cartaginesi, Greci, Romani passarono dall’Isola. A partire dal VI secolo, la “missione di Ustica” fu curata dai Benedettini, che fondarono la Chiesa di Santa Maria, ma che dovettero abbandonarla all’arrivo dei mussulmani. Quindi la solitudine di un’Isola pericolosa in un mare esposto alle scorrerie dei pirati, fino ai tentativi di colonizzarla da parte di alcuni abitanti di Lipari, che, a metà del settecento, arrivarono sull’Isola alla ricerca di nuove terre da coltivare, ma che furono in gran parte uccisi o ridotti in schiavitù e portati nel Nord-Africa dai pirati sbarcati sull’Isola. Per risposta all’eccidio, i Borboni mandarono una guarnigione militare adeguatamente armata, che ha edificato due torri fortificate – di Santa Maria e dello Spalmatore – garitte di avvistamento, il fortino sulla Falconiera, gli alloggiamenti dei militari. Da lì parti la colonizzazione dell’Isola: contadini provenienti dal palermitano e dal trapanese che modificarono ancora una volta l’Isola trasformandola in un’Isola di contadini. Il paesaggio interno ha subito una metamorfosi a causa della mano dell’Uomo, che ha costruito muretti di pietra, ha coltivato i Fichi d’India come una specie di siepi separatrici dei campi, ha posto a dimora gli alberi da frutta e ha introdotto la coltivazione della lenticchia, la regina dell’agricoltura usticese. E’ una specie particolare di lenticchia: piccola, saporita e tenera, tanto da non richiedere il tradizionale bagno serale di ammollo. Infine, la pianificazione urbanistica della seconda metà del settecento, che ha identificato l’area dove è stato edificato, seguendo una pianta regolare, un piccolo centro urbano, in un luogo riparato dai venti e prossimo al porticciolo naturale di Cala Santa Maria.

La geografia e la storia dell’Isola, in modo naturale, rinviano al mito delle metamorfosi, un mito nato nel Mediterraneo che si è diffuso da un popolo all’altro, da una civiltà all’altra e che ha finito per diventare un archetipo della psicologia dei popoli occidentali.

Fernand Braudel ha sostenuto con forza che le caratteristiche geografiche del Mediterraneo hanno condizionato gli sviluppi umani della regione. I contrasti caratterizzano il Mediterraneo. Esistono forse tanti Mediterranei: il Nord diverso dal Sud e ancor di più l’Ovest non è l’Est. Per citare ancora una volta Braudel, “il Mediterraneo è troppo allungato secondo i paralleli e la soglia di Sicilia lo spacca in due, più ancora che riunirne i frammenti”. Però, lo stesso Autore aggiunge che la storia ha dimostrato che popoli che vivono in bacini diversi del Grande Mare “al momento opportuno si scambiano, navi, merci, uomini e anche credenze”.

Ustica può essere vista come una rappresentazione sintetica dell’identità mediterranea. I vulcani che forgiano il paesaggio, definiscono i numerosi rilievi montuosi, le pianure sottili circondate dalle montagne, il verde lussureggiante e i deserti, e poi il mare, il Grande mare che separa, isola, rende distanti, ma che serve parimenti a unire a collegare, a fare una storia di incontri, di contaminazioni, ma anche di opposizioni violente, di conquiste sanguinarie, di fughe e poi di riconciliazioni, di civiltà che si mescolano trasformando il paesaggio.

In questa storia di scambi tra popoli diversi si inseriscono i miti, che riguarda anche quello delle metamorfosi. E’ sufficiente pensare all’importanza della metamorfosi nei miti greci, con innumerevoli cambiamenti di forme, di esseri umani mutati in animali, piante e persino stelle per l’intervento degli Dei. Poi nel mondo romano alle metamorfosi di Ovidio che esprimono il carattere fluido, precario di ogni identità, sia l’incertezza e l’imprevedibilità del mondo naturale. Il motivo delle metamorfosi è stato poi ripreso nell’Europa cristiana (si pensi a Dante che impiega la metamorfosi come uno dei meccanismi del contrappasso), ha influenzato le arti figurative (basti pensare a Caravaggio, Poussin, Dalì, Escher), si è mescolato con le scoperte della psicoanalisi (nelle metamorfosi di Kafka), fino alla rivisitazione del mito delle nozze di Cadmo e Armonia da parte di Roberto Calasso.

Il rapporto tra Ustica e le metamorfosi può essere letto anche alla luce delle precedenti considerazioni, come rapporto tra l’identità mediterranea, sintetizzata dall’Isola, e il mito delle metamorfosi.

I due piani su cui è stata collocata la relazione tra Ustica e le metamorfosi, si incrociano nel lavoro che qui si presenta.



METAMORFOSI USTICESI

METAMORFOSI USTICESI

 
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Metamorfosi Usticesi

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METAMORFOSI USTICESI

C’è un’immediata relazione, non fisica, ma concettuale tra l’Isola, con le sue metamorfosi, e il lavoro, che si trova, innanzitutto nella scelta del materiale: il rame. Il primo insediamento umano di cui vi è traccia nell’Isola risale appunto all’età del rame. I colori che il processo d’ossidazione da una parte, e l’intervento umano attraverso la cottura dall’altra parte, hanno prodotto nelle due lastre laterali richiamano le eruzioni laviche e la loro stratificazione nel tempo: il nero, il marrone, il viola, che si dispongono secondo linee concentriche richiamano all’immaginazione la storia geologica dell’Isola. Ma soprattutto il rame esprime due caratteristiche apparentemente opposte che simboleggiano la perenne metamorfosi dell’Isola: la robustezza e la possibilità di essere plasmato e quindi di cambiare. Il processo di naturale ossidazione del metallo rafforza questa sua capacità espressiva. Le tre lastre di rame cambiano lentamente nel tempo, si trasformano inesorabilmente, assumono colori cangianti che sfuggono alla prevedibilità.

C’è poi il piano che riguarda l’Isola come sintesi dell’identità mediterranea. L’immaginazione si proietta sul rapporto tra il Mediterraneo e le metamorfosi.

La lastra centrale rappresenta il Mediterraneo. Se le due lastre laterali sono attraversate da rilievi, alternano aree più levigate, piatte, e aree corrugate o decisamente sporgenti, simboleggiando le terre che circondano il Mediterraneo con la loro complessità e ricchezza morfologica, la lastra centrale ha una colorazione più omogenea e ha una costanza di forme, che rappresentano le onde del mare ma, al contempo, grazie a questa sensazione di costanza e di omogeneità, esprime la stabilità del Mediterraneo come fattore che guida e spiega gli sviluppi delle terre che si affacciano su di esso.

La lastra che rappresenta il Mediterraneo è distinta dalle altre due che simboleggiano le terre emerse che lo circondano. Il mare dunque separa, divide, isola, rende diversi. Ma il materiale da cui si parte è lo stesso, il rame, esprimendo quindi un legame che si impone a dispetto di ogni separazione. Ci sono poi fili sottili immaginari che collegano le tre lastre di rame. Pure nella distinzione e nella separazione, esistono quindi dei collegamenti, certamente non rigidi, essi stessi mutevoli, che non possono negare la distinzione tra le due lastre che rappresentano le terre intorno al Grande mare.

Grazie a questi collegamenti, di cui è intrisa la storia del Mediterraneo, si muovono le credenze, le idee, i costumi, le tecniche, le invenzioni, le arti, ma anche i miti che attengono all’identità psicologica più profonda dei popoli. Tra questi miti che sono circolati nel Mediterraneo da un popolo all’altro, da una civiltà all’altra, c’è quello delle metamorfosi. Un mito, dunque, che può servire a esprimere sia i mutamenti incessanti, il passaggio da una condizione all’altra che ha caratterizzato la storia millenaria dei luoghi e dei popoli che si affacciano su questo mare, ma anche i collegamenti, i legami, le contaminazioni che hanno sempre contraddistinto la cultura di questi popoli.

Paola D’Amore