Il rame esprime due caratteristiche apparentemente opposte: la robustezza e la possibilità di essere plasmato e quindi di cambiare. Il processo di naturale ossidazione del metallo rafforza questa sua capacità espressiva. Il rame cambia lentamente nel tempo, si trasforma inesorabilmente, assume colori cangianti che sfuggono alla prevedibilità. Il processo d’ossidazione e l’intervento umano con fuoco e martelli producono effetti cromatici che, disponendosi secondo linee concentriche, richiamano il trascorrere del tempo.
La tecnica di lavorazione adottata consiste in bruciature con il fuoco e incisioni e modellature con utensili vari. I risultati ottenuti sono diversi e vanno da colorazioni più omogenee con costanza di forme a rilievi che alternano aree più levigate e piatte ad aree corrugate o decisamente sporgenti.
LA CITTA’ METAFISICA
“Città metafisica” è un ossimoro. Da una parte, la città, ossia una realtà concreta, espressione della razionalità umana; dall’altra la metafisica, ossia il superamento della realtà, prescindendo da qualsiasi dato dell’esperienza. Eppure quest’ossimoro esprime la condizione umana dell’età presente. Basta vedere la città con la prospettiva metafisica, di cui parlava il Maestro Giorgio de Chirico, e che, in estrema sintesi, significa andare al di là delle cose fisiche: guardando certi oggetti appaiono delle forze, degli aspetti, delle prospettive che sono visti “al di là delle cose fisiche”. Così è possibile addentrarsi nell’osservazione della realtà, andando oltre la semplice apparenza, per scoprire l’esistenza di un mondo surreale dove basta mutare i rapporti tra le cose e le prospettive per scoprire nuovi significati.
La città è l’incarnazione e il simbolo più evidente e di comune esperienza della razionalità tecnica che ha caratterizzato la storia dell’Occidente e oggi la storia del Mondo. Nel 1600 – il secolo in cui fa la sua comparsa la scienza moderna, con Bacone, Galileo, Cartesio – quando, come scriveva Cartesio, l’uomo, grazie al metodo scientifico, diventa maître et possesseur du monde, si immaginavano delle città tecniche, che sono state descritte in opere che prefiguravano gli scenari prodotti dalla rivoluzione scientifica. Basta citare, La nuova Atlantide di Bacone, Utopia di Tommaso Moro, La città del Sole di Campanella. Si trattava di proiezioni fantastiche perché ancora la tecnica doveva dispiegare tutti i suoi effetti, ma che valgono a porre la città come simbolo della potenza della tecnica e del suo dominio sulla natura.
La città, del resto, è sempre stata contrapposta alla campagna, dove resiste la natura; essa è chiusa e separata da quest’ultima grazie alle sue mura, diventa successivamente un prodotto della razionalità tecnica con l’affermazione, tra il sette e l’ottocento, della pianificazione urbanistica. Per poi arrivare ai grandi hubs urbano-tecnologici dei giorni nostri – da Los Angeles a Shangai, da Londra a Milano – dove non solo la città è modellata dalla tecnica – l’urbanistica, l’ingegneria, la scienza dei materiali – ma è il luogo privilegiato dell’innovazione tecnologica. Con il che siamo entrati pienamente nell’era presente, che Emanuele Severino chiama “l’età della tecnica”. E’ un mondo in cui la tecnica da mezzo, per raggiungere un fine desiderato, diventa un fine assoluto che domina tutte le altre dimensioni dell’esistenza, dall’etica alla politica, fino ad arrivare a sopravanzare persino sull’economia.
Se la tecnica è stata il prodotto della fantasia umana, il dominio della tecnica segna invece la fine dell’umanesimo. L’uomo è ridotto ad eseguire delle mansioni precodificate che servono a far funzionare l’apparato tecnico. L’uomo, divenuto funzionario di un apparato, che si limita ad applicare le regole tecniche che presiedono alla sua operatività, perde ogni responsabilità morale per le conseguenze del suo comportamento (può spiegarsi così persino l’Olocausto), si limita a fare e non più ad agire. Nell’era digitale, poi, la logica binaria, secondo lo schema 1/0, ci rende idonei a dire solo “sì” o “no”, cambiando radicalmente il modo di pensare. Si smarrisce la capacità di pensare in modo problematico e complesso. Le nuove tecnologie della comunicazione, con la semplificazione estrema indotta da un tweet o da una chat, rafforzano questa tendenza. A questo punto, la tecnica non è più un mezzo a disposizione dell’uomo, ma l’ambiente all’interno del quale si realizza una vera e propria trasformazione antropologica.
La “città metrafisica” rappresenta questa nuova dimensione. Una città, in cui ci sono parallelepipedi, cubi e sfere, rappresentazioni geometriche diverse, ma in cui manca l’uomo. La città, simbolo della tecnica, che in origine doveva essere al servizio dell’uomo, prescinde del tutto dall’essere umano. Non ci può essere contrapposizione più radicale rispetto alle rappresentazioni delle città ereditate da una plurisecolare esperienza pittorica, dove sono raffigurati ambienti occupati dall’uomo, dalle sue attività, dalla sua inventiva e dai suoi sentimenti (è sufficiente pensare alla potenza espressiva di un Canaletto con riguardo a Venezia). La città era la sua piazza con le innumerevoli attività che vi si svolgevano e i diversi tipi umani che vi si trovavano. La “città metafisica”, di contro, è tecnica pura, indifferente e indipendente rispetto agli uomini, omogenea nei colori – il bianco, o il colore del legno – con poche sfumature, ma senza contrasti cromatici, come il pensiero a una dimensione che essa ospita. Nella “città metafisica” non c’è nulla che richiami la natura (come, invece, poteva essere per l’acqua che riempiva i canali di Venezia del Canaletto), anzi essa è geometricamente delimitata, circoscritta con precisione nei confronti nell’ambiente esterno, rispetto al quale segna una drastica discontinuità.
Ma la “città metafisica” può esprimere anche un’utopia: il recupero di un’ambiente in cui si possa ritrovare l’equilibrio psichico e la forza spirituale che si sono smarriti. Il bianco della “città metafisica” può indicare appunto questo bisogno di serenità in contrapposizione alle nevrosi dell’età della tecnica; il legno, cioè il più naturale dei materiali cui si possa pensare, può simboleggiare il ritorno ad un rapporto equilibrato e di rispetto reciproco tra l’uomo e la natura. In questa prospettiva, il Castello di Brolo che si incastona in un incantevole promontorio a picco sul mare e che domina il borgo sottostante, può essere considerato come un simbolo di questa utopia.
Dal caos originario alla vita :i pannelli rappresentano ognuno un tassello del processo creativo che dal Big Bang ha portato alla vita e a forme sempre più complesse di esistenza. Dal minuscolo puntino cosmico che ha originato 4.500 miliardi di anni fa il Big Bang si è passati alla vastità dell’essere attraverso fondamentali transizioni che segnano i passaggi da un’era all’altra del tempo geologico della Terra. Le transizioni più importanti sono l’emergere delle prime strutture capaci di replicarsi che passano informazioni ereditabili, dette protocellule, cui seguono i primi organismi procarioti. Poi arrivano gli organismi eucarioti, i cui mitocondri forniscono più energia, alimentano più cromosomi, più geni, e un flusso di informazioni molto maggiore. Segue quindi l’evoluzione della vita multicellulare, con il trasferimento delle informazioni a tutte le cellule, quindi c’è una transizione agli animali sociali, che passano le informazioni a interi gruppi della stessa specie per poi avere l’avvento di società animali dotate di un linguaggio, che costituisce un’ulteriore svolta nella trasmissione di informazioni. Quindi c’è l’homo sapiens con la transizione dalla vita naturale all’intelligenza e infine il passaggio dall’intelligenza autoreferenziale alla vita morale e spirituale. Un processo i cui passaggi fondamentali vedono un accrescimento della complessità, dell’armonia, delle informazioni trasmesse. Perciò i tasselli di legno con estroflessioni delle serie vedono una crescita degli elementi e dei colori che caratterizzano ciascuno di essi in un quadro complessivo in cui c’è armonia e equilibrio. Questo processo è il frutto del caso, come vuole la teoria dell’evoluzione naturale, oppure è espressione di una logica presente fin dall’origine nell’universo e che è riconducibile ad un principio impersonale immanente alla realtà naturale, come il Dharma dei buddisti, oppure a un’entità personale come il Dio delle tre religioni monoteiste?
Distinguere tra il “chi” e il “che cosa” di una persona è un aspetto centrale della condizione umana espresso dalla filosofa ebrea Hannah Arendt, la cui riflessione è stata segnata dall’esilio dalla Germania nazista. La Arendt ci avverte che il livello di “che cosa” una persona ha fatto, ha detto, ha prodotto, non ci parla compiutamente dell’essenza di una persona, dei suoi limiti ma anche della sua grandezza. Il “chi” uno è o è stato riguarda qualcosa di diverso da quello che una persona ha prodotto – ciò a cui invece si rivolge principalmente l’epoca moderna produttivistica – ma riguarda il modo in cui la persona ha vissuto sulla scena del mondo in relazione con gli altri, esprimendo l’amore per un mondo abitato da persone uniche e diverse le une dalle altre. Il volto di una donna che squarcia il velo raffigura l’essenza della persona che non vuole celarsi dietro il riparo offerto dai gesti consueti, dalla banalità delle cose accettate da tutti, dai comportamenti ipocriti e rassicuranti, ma accetta apertamente di mettersi in gioco manifestando la sua identità più vera e la sua capacità di amore, assumendo così apertamente il rischio di vivere autenticamente e tutte le responsabilità che ciò comporta. I molteplici colori con cui è raffigurato il volto di donna esprimono la diversità delle essenze umane, le differenti anime, il modo diverso di vivere e di manifestare la propria personale relazione con il mondo, una diversità che rende più ricca, unica e sempre degna di rispetto la condizione umana.
Monica, 2017, acrilico su legno, cm 76x103
Anna, 2017, acrilico su legno, cm 103x76
Foulard di seta e cotone, disegni creati in occasione dell’esposizione collettiva a sostegno della donna e dell’ambiente al 70esimo Festival di Sanremo. Opere destinate ad asta di beneficienza per organizzazioni impegnate nello sviluppo e promozione della salvaguardia ambientale e della lotta contro la violenza sulle donne.
Foulard made of silk and cotton, designs created on the occasion of the collective exhibit supporting women and the environment at the 70th Festival of Sanremo. All proceeds go to organizations working on environmental rights and the fight against violence against women.
colori vegetali su cotone, 100x100 cm, 2020
Rappresenta le donne libere, indipendenti, ciascuna con la propria forza e determinazione. L’universo femminile, nonostante l’emancipazione della donna iniziata negli anni ’60, è oggi bersaglio di violenza fisica e morale. Dapprima sola e apparentemente simile a un’automa, la donna ora fa squadra con le altre e tutte vanno avanti con il loro incedere incalzante, incuranti della tempesta di foglie che intralciano il loro cammino e insieme realizzeranno strategie finalizzate alla repressione dei fenomeni di violenza di ogni genere.
colori vegetali su seta, 105x105 cm, 2020
Il ragno tende imboscate traditrici e consuma la propria vittima dopo averla paralizzata. Ma, come accade nel WEB, anche qui nel nostro simil labirinto, mondo, ragnatela e intreccio, assumono un significato diverso. Qui le voci delle donne che si uniscono in infinite possibilità di connessioni, avvolte dalla tela/rete del ragno ci suggeriscono che solo un movimento globale le salverà dalla violenza. Le azioni individuali, infatti, non possono essere efficaci se non si tiene conto delle relazioni reciproche.